Silenzio.

Voglio stare in silenzio,
Con te.

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Il Caffè.

Anche in questa vita, ogni volta che prendo il caffè, mi ustiono la lingua, perdo la sensibilità, ed è sempre la solita storia, non posso fermarmi dal primo sorso e non posso nemmeno lasciare che il tutto si raffreddi, anche perché la bellezza del caffè sta proprio nella sua anima calda, nel fumo che mi ha sempre appannato gli occhiali e scongelato il mio naso. La scelta dello zucchero invece è stata sempre la parte più semplice, ma per curiosità o per mancanza di tempo da impegnare ho sempre scelto lo zucchero non raffinato, mi piaceva vedere come quella poltiglia gialla alla fine del caffè non si sciogliesse mai veramente ma donasse dolcezza in maniera naturale alla brodaglia nera. Il caffè mi ricorda di ogni persona a cui l’ho offerto, di ogni persona invece che me l’abbia mai offerto, a tutte le scuse che ci sono state dietro al famoso “ci prendiamo un caffè?” a tutte le situazioni che mi hanno coinvolto e che mi hanno sconvolto dentro la caffeina. A volte il caffè è stato qualcosa di veramente tragico, altre volte invece è stato talmente piacevole che giocare a raschiare il fondo della tazzina mi è sempre sembrato una caccia al tesoro. Mi spiego meglio. In un appuntamento medio in cui si beve un caffè, l’importanza che viene data alla bevanda è quasi marginale, molti nemmeno lo prendono, altri si concedono altri vizi o altre cazzate, per me invece non si smette mai di parlare o di odorare il caffè in qualsiasi momento. I primi dieci minuti provo a berlo, i restanti trenta, trentacinque noto come ciò che rimane del caffè cambia forma insieme a me e si evolve. Vedo come essicca lo zucchero rimasto, insieme a qualche gocciolina rimasta sul fondo, col mio cucchiaino cerco di disegnare nel fondo, di vedere come quello strato vellutato di caffè si appiccichi alla superficie d’acciaio del cucchiaio.
Provo a mettere altro zucchero nella tazzina e spingere ancora, creo del cemento di caffè. Poi smetto di giocare e vado al cucchiaino, noto come tenerlo in bocca per più di cinque secondi ti da una strana sensazione, come quella di un ciuccio, come quando da piccolo giocavi con quel giocattolo gommoso ed eri felice. Il cucchiaino tra i denti perde la sua freddezza e diventa caldo, quasi piacevole è farsi accarezzare le gengive e sentire che la sua consistenza morbida e durissima allo stesso tempo può darti sollievo.

Ma la smetto subito, sembro un bambino agli occhi di chi mi guarda, paso ad esaminare il tavolino, a vedere quali oggetti vi sono sopra, spesso e volentieri piante finte, le prendo, le alzo dal suolo, gioco un po’ a fare l’astronauta sopra quei piccoli cactus con le foglie finte e le spine ancora più finte. A volte cade un po’ di terra ma non fa nulla, è il mio piccolo regno in cui gioco e faccio ciò che voglio, anche se chi ho davanti mi racconta la sua vita. Vedo il piattino del conto, sporco e mai pulito perché in fin dei conti ha sempre contenuto solamente pezzettini di carta con su scritti dei numeri, quando mi capita lascio la mancia, è la mia ricompensa per avermi dato la possibilità di creare dei riti ed esser felice con niente.

Nel frattempo, di tutti i caffè che ho preso io ne ricordo uno in particolare, quello dove tu mi dicesti che non ne valeva la pena continuare, che andava bene così, che alla fine, eravamo troppo estranei per il caffè.

Così anche qui sotto io gioco con il mio appuntamento con nessuno, gioco con la caffeina e mi brucio ancora la lingua come la prima volta, è il mio ruolo, le mie papille gustative sono state create per questo.

Probabilmente pure io, e aspetto ancora te per giocare insieme tra chicchi di caffeina, tra cucchiaini, bustine di zucchero e a leggere i fondi di ogni fottutissima tazzina.

Anche se un piccolo segreto voglio dirtelo, la tua lingua brucia più del caffè, e probabilmente potrei riscrivere lo stesso racconto solamente parlando della tua lingua e delle tue papille gustative a contatto con le mie, ma sarebbe poco corretto, sarebbe inaccettabile, sarebbe come quando in matematica non ci sono soluzioni alla disequazione che stai cercando di risolvere, quindi tagli tutti e scrivi “Non esistono soluzioni”.
Che stupido, trovo sempre un modo per esser felice anche, anche senza la tua lingua.

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Quanto ossigeno ti serve per sentirti vivo?

Ci sono tante cose che sfuggono dai tuoi occhi, dalle tue orecchie e dal tuo naso pieno di sangue. Non ti accorgi mai di troppe cose, sei sbadata, dovrei rimandarti, e dirti che ti aspetto al prossimo appello.
Ma, il prossimo appello non ci sarà, l’esame è oggi verso ora di pranzo, non ho più fame.

Ci sono alcune cose che tu non hai mai visto. Per esempio, io adoravo tornare dall’ospedale, stare li dentro, trovarci un po’ di me, curarmi poco della puzza di medicinale che mi s’impregnava fin dentro la carne. Mi curavo poco delle lamentele sulla mala sanità. Mi meravigliavo di come anche in una stanza piena di sofferenza potesse entrare una luce così soffice e metallica. Mi meravigliavo come anche in tanto cemento potesse esserci un giardino dove poter osservare qualche piccolo elfo che ti saluta felice come un bambino. Adoravo tornare da lì, anche se lì c’era mio padre, e sentire che tutta la fatica si concentrasse sui miei polpacci, sentire il sudore che si condensava sui miei vestiti, e avvertire che le giornate s’allungavano, prima su di me, e poi sulla temperatura, che era tiepida come le mie ciglia che ti guardano, impercettibili.

Ci sono alcune cosa che tu non hai mai visto. Per esempio, io adoravo andare dal professore di Matematica, anche se con poco successo, c’era un sole tremendo e caldo, che non ti brucia, ma può baciare anche il più freddo e grezzo dei cappotti invernali. Devi sapere, che anche in inverno esistono le tre del pomeriggio e che io, stronzo com’ero spendevo la liquidazione del mio stipendio su quei numeri. Adoravo quel sole, quella strada così dura che sembrasse volesse le mie ginocchia. E il ritorno verso casa, quando stordito e annichilito guardavo le piccole lucine della strada che s’accendevano, che spettacolo era vedere il mondo crollare al ritorno dal lavoro, dallo studio e dalla vita stessa. Che spettacolo era il freddo sul volto, e il pranzo sullo stomaco.

Ci sono alcune cose che il tuo cuore non ha mai provato. Per esempio, un giorno ho vissuto sopra un bus, di quelli puzzolenti, avevo la mia cartella da studente universitario/tirocinante fallito e come al solito non avendo un mezzo ho aspettato ore un autobus che mi ha portato vicino la mia destinazione. Ho girato così tanto, visti alcuni posti della mia città che credevo sconosciuti, ed ho conosciuto una vecchietta con la sua spesa, non le ho nemmeno rivolto una parola, ma l’ho guardata tutto il tempo, ho cercato di scrutare i suoi pensieri, come faccio con chiunque, la sua mente è offuscata, ma lì ho visto il senso delle cose. La grandezza delle piccole cose l’ho sentita vicino al petto, mi ha leccato l’anima un attimo e se n’è scappata. Per paura di perdermi scesi dal bus, mi lasciò vicino scuola, cominciò a diluviare, ero solo, inzuppato, ma mi fermai lo stesso vicino scuola, la vidi, sembrava un piccolo tempio, mi sono sentito a casa, ero bagnato fradicio, guardavo scuola e stavo meglio. Non chiedevo altro che sentirmi vivo così, senza cibo, senza aria. Solo vivo.

Ci sono poi altre volte in cui ho corso tanto, senza fermarmi mai, starnutendo e tossendo, quelle volte così pesanti dove ho cercato aiuto, e mi è stato dato, ma che fatica averlo chiesto. Ho corso per le strade di una città che non era mia, ho aspettato in una stazione fredda e scura ma che poco prima era illuminata da un tramonto così raro che la mia mano ha tremato un po’. Ho aspettato così tante persone sotto qualsiasi tipo di vento, ho elemosinato per sentirmi al centro dell’attenzione. Ma non mi sono mai sentito morire. Solo poche volte, ma poi è bastato poco per tornare a respirare. A volte anche il cuore ha bisogno di prendere la sua rincorsa per stare meglio. Ho chiesto aiuto ed ho aiutato senza pormi mai problemi. Quante volte mi son perso. E non c’è mai stata una volta in cui i miei denti non hanno visto la luce del sole.

Ora poco conta la tua preparazione, Amore mio, ho bisogno di sapere se anche tu stai tornando a casa come lo sto facendo io, ho bisogno di sentire la tua risata, non le tue parole, ho bisogno di vedere il tuo sguardo nudo e di sentirti dire che è inutile rimandare, che anche per te è giunto il momento di tornare.

Quanto ossigeno ti serve per sentirti vivo?

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Il mio grande piacere, tutto mio.

Lo sai che col pensiero, posso raggiungere il più profondo granello di sabbia dell’abisso e risalire in un attimo verso il sole, come se nulla fosse? Lo sai qual è la consistenza dell’oscurità? Lo sai che c’è un modo per sentirsi a casa, anche se sei lontano migliaia e migliaia di anni luce dalla tua città? Lo sai che le stelle, i pianeti, l’universo e tutto ciò che ci circonda è tutto dentro te? Lo sai che quando hai scelto di nascere in questa palla colorata tutte le risposte a queste domande le conoscevi già? Eri felice e mentre tutti pensavano che il tuo sorriso e le tue urla di gioia derivassero dal fatto che fosse incosciente tu te la spassavi perché già avevi tutto chiaro, anche il cielo per te non avevi segreti, immaginiamoci il cuore di un uomo.

Lo sai che una volta mi sono imbattuto in una pioggia di cenere, latte e ghiaccio? E lì per lì sorpreso dal clamore e dalla paura domandai ad un piccolissimo batuffolo di luce caldissimo e colorato: “Cosa succede?” E lui non mi rispose si posizionò vicino al petto e mi riscaldò per bene le ossa fino a farle luccicare un po’.
Dopo anni capì che quella era una parola, una di quelle che vanno usate bene, che non si trovano facilmente nei supermercati o nelle offerte dei negozi che stanno per chiudere. Una di quelle parole che nemmeno io fidati so ancora nemmeno pronunciare.

E poi mi resi conto che quella piccola tempesta che quel giorno vidi, altro non era che qualcosa che mi distrusse completamente, sentì parole, sentì sempre parole ovunque. E adesso che continuo a sentirle, ho gli occhi pieni di lacrime. Sentivo parole quando la mattina a scuola faceva troppo freddo ed aspettavo il suono di una campanella. Sentivo parole mentre ero alla fermata di un autobus ad aspettare una carovana di studentelli che mi portasse a casa. Sentivo parole anche quando pensavo d’Amare per poi lasciarti andare come sempre, tra lo smog ed il mal di gola.

Ho visto davvero tanta bellezza passarmi dentro le ossa.

Così, se dovessi morire un giorno di questi, vorrei che tu sapessi che adoro guidare quando sono le tre di pomeriggio ed è inverno, ritrovarsi in quella luce di miele che trovai anche in una persona. E’ bello davvero poter guidare e sentire che anche l’aria gelida come il mio cuore anche per un solo minuto può diventare tiepida. E’ bello vedere come a breve sarà notte, anche se saranno a malapena le cinque di pomeriggio e sapere che quelle due ore sono state eternamente belle. Mi piace guidare sempre in quell’orario ma non con la macchina, guidare una bella nuvola, ma non fraintendete, una nuvola di quelle enormi che piacciono a me e che spesso ho cercato di farvi vedere anche voi. Nelle Nuvole c’è tutto il mondo che è nella mia mente. Guardavo i mari, i fiumi ed una volta intravidi pure da una stradina di periferia una piccola traversa che portava in una specie di spiaggia, sorpreso non capivo come mai quella traversa fosse così deserta. Era così bella, dove saranno tutti quanti? Vidi pure uno scatolo di preservativi, non ero l’unico sognatore.

Un’altra cosa che mi piace tanto è potermi svegliare e vedere d’esser solo a casa. Lì posso sentire che l’anima mia s’impossessa della caffettiera, che i biscotti sono sempre al loro posto e lì posso godere del silenzio. Avete capito mica quale sia il problema della mia tristezza celata? Lo zucchero! A casa mia lo zucchero era di tre tipi, ed io non ho mai capito quale sia quello migliore per me, non ho mai saputo abbinare uno zucchero ad una mia dieta, anche se mi sarebbe piaciuto farne una. Anche se mi sarebbe piaciuto piangere più spesso. Che tutti sono ormai uomini, e nessuno più si emoziona.

Mia madre incolla i bollini che le regalano al supermercato per avere forse una nuova trapunta in omaggio, mio padre forse ha intuito che non andiamo d’accordo.

E poi tutto questo casino fatto per rendersi conto di non esser più vivi. Tutte le ore passate a studiare per avere un posto nel mondo. Tutto questo grigio che mi porto dentro. Tutta la fila che bisogna fare alle poste per pagare le bollette. Tutta questa paura di fallire. Tutta questa voglia di essere qualcun altro. Tutta questa voglia di aver finalmente capito che anche la mia guerra è finita, e che adesso ho davvero vinto.

E poi vedere che i tuoi occhi sono diventati l’Amore che ti manca.

E che tutto sommato va bene così.

Dormite sogni tranquilli, dormite e non pensate più a nulla. Che a svegliarvi ci penserò io.

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Abbiocco, pesce spada e genetica low cost.

Adoro il tuo corredo cromosomico, il modo in cui le tue ossa si dispongono in tutto il tuo corpo e la tua acconciatura da hippie post rock. Senza tralasciare l’odore delle pareti di casa tua, la tua camera buia,
le tue bottiglie di Jack Daniels e le tue pantofole piene di polvere, croce e delizia della mia allergia.
Mi chiedo se i tuoi occhi abbiano i colori del cielo, o se il cielo abbia il tuo colore. Potessi dare un nuovo nome a tutti i colori cambierei la parola “celeste” con il tuo nome, così farei anche per il rosso dei tuoi capelli, così farei con tutte le parole che conosco. Tranne “Amore” quella è davvero priva di sentimento.
Sembra che ultimamente piova abbastanza spesso, e questo è davvero un peccato perché è finita l’era della paura degli tsunami, la stagione dei terremoti e l’epoca delle carestie e delle pestilenze, mi ero preparato a tutto, in questa stanza niente mi può toccare, niente mi può smuovere, sei la mia piccola eternità.
E’ piovuto così tanto che anche casa tua si riempì d’acqua come il tuo acquario, quindi decisi di passare dal negozio di pesca subacquea ed attrezzarmi per l’allerta meteo delle ventidue. Eravamo io, le pinne, la mia maschera subacquea, la bombola d’ossigeno e i tuoi pesci rossi che abituati a stare in un piccolo acquario adesso pensavano di aver acquistato un castello immenso. Valli a convincere delle loro stupide idee con tutta quest’acqua. Tutto ciò mi ricorda due anni fa, quando lo tsunami porto via tutta la città facendomi restare da solo nella tua stanza con in mano un pesce spada che guardandomi mi diceva: “Sa mica cos’è successo?”. Così sarebbe bello poter restare tutti insieme, io, tu, i pesci rossi del tuo acquario, le bottiglie di Jack Daniels, il pesce spada e perché no, anche tua nonna che crede che io sia davvero un bravo ragazzo.
Se poi in caso dovessi diventare poveri, avremmo sempre una stanza in cui abitare, piena zeppa d’illustrazioni di figure del kamasutra che non ci riusciranno mai e saremmo quelli sopravvissuti allo tsunami, quelli resistenti alle piogge oceaniche ed ogni pasto con te alla Caritas sarà più bello di un ricevimento con tutti i cibi più prelibati del mondo. Vorrei tanto esser povero insieme a te.
Non avremo più un profilo facebook, ma ci scriveremo almeno una volta al giorno lettere d’Amore da spedire tramite raccomandata con ricevuta di ritorno. Non avremo più una macchina ma diventeremo dei grandi podisti, e se ci andasse a genio parteciperemo pure alle prossime olimpiadi. Non avremo più un accordatore per la chitarra e suoneremo scordati come facevamo all’inizio prima di cominciare a suonare, sarà bellissimo distruggere oltre noi stessi anche la musica stessa per poi darle una forma del tutto nuova.
Creeremo aquiloni da far volare su nel cielo, ma preparandoli ci appiccicheremo le dita in maniera quasi permanente e saremo costretti a volare su nel cielo fin quando ci sarà spago, sarà l’unica occasione in cui non vorrei che mi “tirassi troppo filo”. Festeggeremo il Natale a Pasqua e viceversa, anzi pensandoci bene potremmo preparare l’albero di Ferragosto, e mangiare colombe pasquali scadute a Natale per poi finire tutti i nostri festeggiamenti con enormi scorpacciate di pop corn fatti in casa su una padella senza coperchio. Aspetteremo la loro esplosione e la loro conseguente “salita in cielo” per mangiarli al volo ed affogarci. Ti ricordi che nei pop corn c’andava lo zucchero e non il sale? Eravamo davvero piccoli.

Se ci chiederanno chi preferiamo tra Ligabue e Vasco Rossi diremo Manuel Agnelli, se ci diranno quale genere musicale ascoltiamo diremo che non ascoltiamo musica ma la creiamo, se ci diranno qual è la nostra parte preferita del giorno diremo l’abbiocco pomeridiano perché è l’unico momento in cui possiamo esser noi stessi.

Voglio essere il tuo terrorista preferito. Voglio essere il terrore dei tuoi peluche, che odieranno il mio fondoschiena sopra le loro teste mentre dormo nel tuo letto.

Voglio che tu sia il motivo per cui perderò la mia vita, lentamente.
Voglio che il pesce spada che avevo tra le braccia abbia un nome, lo chiameremo “Amore”, così ogni volta che parlerò d’Amore non parlerò di te ma di un pesce spada.

Voglio che tu sia qui adesso, così chiudo gli occhi, penso, e preparo il barbecue per il pesce spada.

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La gatta va al lardo, non al largo.

Sono uno spirito libero, senza lingua nei peli e come prima cosa vorrei proprio chiarire questa cosa (ho ripetuto apposta la parola “cosa” perché amo essere ripetitivo, banale e scontato), i modi di dire non mi stanno molto simpatici da quando ho scoperto che la gatta non va al “largo” ma al “lardo”. Mi domando tante cose, per esempio, chi ci amerebbe se invece di mostrare i nostri migliori pregi, mostrassimo i nostri peggiori difetti? Le foto in cui son venuto male sono le migliori, le volte in cui ho ammesso di non capire sono state le uniche volte dove ho capito qualcosa, le volte in cui mi sono arrabbiato, ho urlato e ho guardato fisso negli occhi una persona sono state le uniche in cui mi sono sentito davvero me stesso. E fidati, spesso e volentieri non sei ciò che pensi, assolutamente. Ma diciamolo pure, la soluzione è dietro l’angolo! Basta solamente.. parlare. A me piace tanto parlare, poco. E’ molto bello sapere d’esser sarcastico ed ironico, un pizzico cinico, dieci ml di acidità, due cucchiaini di romanticismo e mezzo litro di vino.

Posso persino prendere per il culo me stesso senza che me ne renda conto. No?

Ma tornando a me, che come avrete intuito oltre ad essere ripetitivo sono anche egocentrico, e tornando sui miei difetti o pregi (fate voi, io non ne trovo alcuna differenza), dovremmo avere tutti un grandissimo bisogno di uochi tochi, di schede telefoniche al massimo per sentirci e di macchinette usa e getta per scattarci le foto migliori, con poca messa a fuoco e senza capirci nulla di fotografia. Creeremmo dei monsoni con lo sventolio di ricordi in quelle fotografie che prendono forma (in tutti i sensi) con l’entusiasmante scotolio (termine tecnico eh). Oltre ad essere difettosi, e pieni di cose che ci rendono unici dovremmo pure usare tecnologie obsolete e scadenti, solamente per il piacere di sentirci più umani.

No tranquillo, io sono a favore della moviola in campo, lo so che ti fa incazzare da morire subire gol in fuorigioco. (La moviola dovrebbe servire a quello no?)

Siamo tutti poeti, siamo tutti scrittori, tutti musicisti, tutti intenditori di ottima musica e di cibo, tutti esperti cultori del nostro corpo, tutti critici d’arte e filosofi, conosciamo il pensiero di chi è venuto prima di noi, sappiamo tutto, non ci manca niente. Frequentate tutti bei posti, avete tutti delle vite bellissime perché date vita a festini perfetti dove c’è la musica da urlo, la droga da urlo, l’alcool a fiumi, e basta. Siete perfetti perché sapete benissimo il tempo che farà domani, ci sarà molta pioggia, così non prendo la macchina, così evito di restare a piedi e sono tranquillo, non dovrò disturbare nessuno. Ed invece era proprio bello non sapere che tempo facesse il giorno dopo, prendere la macchina e restare in panne in una qualsiasi strada perché sarebbe arrivato sempre qualcuno ad aiutarti, prima col sorriso e poi con le sue pseudo capacità da meccanico, ti avrebbe offerto un caffè e ci avresti fatto un figlio come minimo. Si arricchivano i meccanici e tu avevi una famiglia bella e pronta. Ora invece gli unici ricchi sono quei nerd che creano cellulari con delle cose orrende che ti ricordano che domani piove. Non può piovere per sempre. Io per ventitre anni ho pensato che una gatta potesse arrivare a nuoto fino in alto mare e lasciarci lo zampino, era molto più semplice pensare che fosse ghiotta di lardo e ci lasciasse una bella zampata sopra, bastava fermarsi e pensare un attimo.

Che poi i gatti non sanno nuotare. E lo sapevo pure. Forse.

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La mia cuffia di plastica.

M’impunto, m’invirgolo, mi doppio punto, mi punto e virgola. Scusate, sto divagando, dilungado, divulgando, divalungandando, fate voi, ho comprato troppe parole negli ultimi tempi e devo sprecarne un po’. M’arrendo, m’ammalo, m’addanno, m’arruolo, nessuna di queste parole mi descrive esattamente, probabilmente, scientificamente, indubbiamente. Poi arrivano le solite scuse, le solite muse, le solite intruse. Ho bevuto troppo per guidare, ho freddo, riscaldami, ho sonno portami a casa, lasciamoci e restiamo amici, restiamo amici e non prendiamoci.

Restiamo presi e amiamoci?

Usiamoci, divertiamoci, rilassiamoci, indossiamoci, releghiamoci, insaponiamoci, mischiamoci, ma non troppo che poi sporcarsi l’un l’altro ci renderebbe un po’ prevedibili, scoprirebbero che porto il tuo identico sorriso, con il tuo stesso rossetto. Ho i piedi storti, io sono storto, ho i denti storti, ho il naso storto, ho i capelli storti, ho il colore della pelle storto, ma se mi guardi da un’altra prospettiva è diverso, sembriamo paralleli.

Sei come tutti gli altri, sei come tutte le altre, siamo tutti uguali.

M’oppongo, mi ribello, m’indigno, è così difficile amare le parole? Loro non ti tradiscono mai, io ne conosco poco, ma mi diverto a metterle insieme una dopo l’altra, tu sai usare benissimo la punteggiatura, avremmo potuto scrivere la nuova divina commedia, avremmo potuto fare un bel complotto alle multinazionali del sapere, avremmo potuto fare tanti cruciverba, tu avresti messo le virgole ed io i punti.

Venticinque orizzontale, si usare per spezzare i cuori, virgola.

Sono forte, sono debole, sono medio, l’acqua frizzante fa gonfiare, la coca cola fa male, la birra fa sudare, il vino è per alcolizzati, io non bevo più, ho smesso giuro, mi concedo solamente il lusso di scrivere, il lusso di dire la mia, la tua, la nostra, la vostra e quella del mio primo amore come la lettera rimasta nei miei pantaloni e divorata dalla lavatrice. La lavatrice ti può salvare la vita.  Bisognava osare un po’ di più per sentirsi dei veri uomini, fare gli stronzi al bar, scommettere sulle partite, dirti “ciao” solo i giorni dispari.

Suvvia, cambia atteggiamento, cambia mento, cambia lento, cambia a stento.

Mi sento un po’ vuoto, sono fatto male, sono stato male, mi hanno fatto male, ma poco. Non importa.
Sapevi usare benissimo la punteggiatura, sapevi scrivere e non lo sapevi, sapevi ridere e non lo sapevi.
Hai i capelli lisci, le rughe sul naso un po’ sulla fronte, una specie di puntina sul labbro, la pelle liscia (come i capelli), e le orecchie scusami non te le ho viste più di tanto, saranno piccole pure loro.

Ma alla fine, a me di tutta questa estate piena di serate, feste, discoteche, urla, schiamazzi, mare, montagne, spread, btp, guerre, bombe, birre annacquate, prove, concerti, musica, shottini e chi ha più ne metta cosa mi rimane?

La tua mano.
E una cuffia di plastica.

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Ho sonno ma non dormo.

Ho sonno ma non dormo. La birra costa meno dell’acqua. La gente mi chiede cartine lunghe. La salsa barbecue è buonissima. Esistono gli yogurt al latte di mandorla. Il mio navigatore è affidabile. Non so parcheggiare. Mi dimentico di lavare i denti. Odio la correzione automatica che mi ha corretto la parola “yogurt”, ecco l’ha rifatto. Se non ti saluto per strada è perché non ci vedo bene, quindi stai attento quando guido. La primavera è terribile. L’estate è terribile. L’autunno è terribile. L’inverno è stupendo. Le persone non sono felici. Sto leggendo poco e niente, perdonami Ray Bradbury. Sto aspettando il mio temporale estivo. Le stelle cadenti non cadono, rotolano. Sono allergico alla polvere ma non a quella sui tuoi capelli. Ho un naso di tutto rispetto. I bistrot sono brutti posti per giovani poeti. Non bevo più latte, non mangio più cereali, prendo solo caffè, senza sigarette.

Vorrei stare in piedi sotto un temporale con i miei piedi nudi immersi nel fango che cercano i tuoi.
Vorrei il tuo cognome, i tuoi zigomi e la tua spalla destra, mai allineata con la sinistra. Vorrei non dire di nuovo vorrei, ma quando ero piccolo la mia suonerei nel cellulare era “Vorrei” di Cesare Cremonini, e mi andava che tu dopo tutto lo sapessi. Quando bevo sono ispirato. Mangiare da sbronzi al McDonald non ti renderà una persona migliore, ma ti farà stare inspiegabilmente bene. Mi fa male la testa, ho la nausea.
Vorrei non dormire mai più, ecco ho ridetto “Vorrei”. Gli esami di maturità non ti fanno maturare.
Fare colazione alle quattro di notte non mi ha impedito di mangiare fette biscottate alle sette di mattina.
Non sono ciò che sembro, sembro ciò che sono. Mi sento un tredicenne, ed è stupendo.

Sono innamorato di te, anche se avrei voluto scriverlo con due “emme”. Ho detto una bugia, ma mi piacerebbe innamorarmi di qualcuno che non si preoccupa di sporcarsi di zucchero a velo e nutella mentre mangia avidamente un cornetto. Mi piacerebbe pulirti le labbra. Prenderti in giro per qualche minuto. Sporcarti di nuovo. Pulirti di nuovo. Ridere, e poi addormentarmi sopra un enorme bignè. Senza preoccuparmi di niente. Senza preoccuparmi di coloro che mi guarderanno. Senza preoccuparmi dell’esistenza di bignè grandi quanto il mio naso a forma di patata. Tu però non ridere delle mie tragedie, che il conto lo pago sempre io, perché poi è bello vederti imbarazzata mentre calcoli la tua parte, ed io che dormo ancora sul bignè. Potevi pure svegliarmi, potevo morire affogato tra la crema pasticcera. Sei una persona poco altruista. Mi fa male la schiena. I falò in spiaggia sono i rave dei poveri. Ho davvero sonno.

Dormirei volentieri tra le tue cosce. Questo non dovevo dirlo, vi avrò scandalizzati tutti. Te compresa, che bevi solamente acqua naturale, frizzante per festeggiare il mio compleanno e ti ubriachi con l’acqua del rubinetto di una chiesa abbandonata. I minuti passano leggeri. Io adoro la mia punteggiatura.

Mi pagherò l’università facendo il cameriere. Tu verrai a mangiare la pizza da me. Io ti servirò come se non ti conoscessi dandoti del lei. Pulirò il tuo tavolo. Guarderò i tuoi fianchi mentre andrai a pagare. Fumeremo una sigaretta insieme, poi mi guarderai fisso negli occhi, come non l’ha fatto mai nessun’altra, e mi darai la mancia.

Il caffè mi brucia i neuroni, ne sono sicuro. Una volta ero felice, ora lo sono ancora di più, l’unico problema è che ci sto molto di più a capirlo. Forse dovrei cambiare filosofia di vita, diventare un esperto di vini e di figurine Panini d’epoca, ti regalerei quelle introvabili che dovevi richiedere tramite raccomandata all’editore e che costavano un botto di soldi. Sei la colla che usavo da piccolo a scuola. Sono sempre stato un pasticcione, avevo sempre le dita incollate, sapessi di grasse risate che mi facevo. Non sono una bella persona, ma almeno mi rado una volta a settimana. Ho un cuore pieno d’Amore e due libri di Diritto Commerciale da studiare.

Mi piace il modo in cui respiri mentre i miei piedi sfiorano i tuoi nel fango, i tuoi vestiti che diventano una seconda pelle, il tuo tremore, i miei primi sintomi di febbre, e le mie dita che corrono sui tuoi palmi asciutti anche sotto un temporale. Ho cambiato numero di cellulare, adesso sono finalmente irraggiungibile, anche se sai dove abito, citofona quando vuoi, non disturbi mai. Alla piscina preferisco la mia vasca da bagno. Non sopporto mangiare frutta dopo i pasti, ma non chiedetemi perché. Può fare freddo pure ad Agosto. Tra qualche giorno ho un concerto. La mia vita è straordinaria, anche se da domani sono a dieta. Bugia. Tu sei bella. Io sono balla. La mia pace interiore ha il tuo indirizzo di casa. Il weekend è inutile.

Vorrei uscire con te in un qualsiasi lunedì sera, dopo esserci mischiati col fango e la neve, assaporare con la punta delle nostre lingue l’aria gelida di questo Dicembre che segna il nuovo anno, tornare a casa il mattino seguente scivolando come dei giocolieri su un tappeto di bottiglie di vodka alla fragola scadute, invecchiate e di sotto marca. Poi accarezzarti, dirti che domani sarà stupendo, perché non avremo niente da fare.

Ora ho sonno davvero, vado a fare una passeggiata.

Ma esistono i bignè giganti?

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Melissa Swam – Compro parole

Una piccola emozione low cost.
Una canzone del mio gruppo.
Testo scritto indegnamente da me.

“L’unica via per ritornare
Era stupirsi tra le gambe tue
Naufrago ormai in questa stanza
Il tuo dolore lo porto con me

Compro parole di cenere bianca
Che lasciano spazio a questo mio niente
Mi trovo nuovo anche se muoio un pò
T’inviterò a tutte le mie nostalgie

L’eternità di questi mesi
Calma i moti dell’anima mia
Riposo così in un mare di luce
Non mi svegliare, non posso annegare.

Compro parole di cenere bianca
Che lasciano spazio a questo mio niente
Mi trovo nuovo anche se muoio un pò
T’inviterò a tutte le mie nostalgie.”

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Il mio raffreddore.

E’ bello esser raffreddati. Soprattutto d’inverno. Respiri a malapena come se avessi il fiatone, o come se avessi visto qualcosa di tremendamente bello. Ti luccicano gli occhi, come se fossi stato rapito dallo stupore.  Il giorno resti a casa guardando come tutto fuori scorre così male, e tu resti lì sotto le coperte, al caldo, la “vita” resta fuori dalla tua stanza, e tu riscopri il tempo libero e non curante spezzi una lancia contro la monotonia. Poi vai allo specchio e ti vedi con quell’espressione persa, non hai più odori nelle narici, solamente un gusto di raffreddore, che ti ricorda tutti i tuoi raffreddori e tutte le sue cure. Ci sono tanti tipi di raffreddori, divisi rigorosamente nelle proprie stagioni, accompagnati da altre malattie. Ma il mio preferito è quello invernale, perché giunta la sera, puoi gustarti il tuo latte caldo e biscotti con aggiunta di miele. E resti lì a deglutire a rallentatore davanti alla tv. Sono riti, e i riti devono essere sempre celebrati. In inverno avere il raffreddore significa aver preso troppo freddo, e troppo freddo lo puoi prendere quando aspetti una persona che tarda a venire, o altrimenti perché sei uscito accaldato da un locale ben riscaldato senza coprirti abbastanza. Non esistono più le mezze stagioni, o forse si, esistono ancora ma si sono camuffate ed a volte ti capita di vivere una settimana d’inverno dentro Luglio. Adesso io sono raffreddato, stupidamente, sudando a letto, perché ho sempre una dannata voglia di coprirmi anche se fa caldo. Penso sia qualcosa di psicologico, un senso di protezione, non saprei. In tutta la mia vita avrò avuto migliaia di raffreddori, e miliardi di fazzoletti sprecati e buttati. Avrò composto sinfonie di starnuti e moquette di fazzoletti “Tempo”.
Poi, ci sono i raffreddori primaverili, ti avvertono che qualcosa sta cambiando, e tu, incredulo lo scambi per allergia, e invece no, le tue narici ti ricordano che devi tenerti pronto e che sta per tornare l’inverno.
Io il mio ultimo raffreddore primaverile me lo ricordo benissimo. Fu una bella occasione per conoscerti da vicino.
Avevo diciott’anni, il raffreddore ed un fazzoletto di seta alla gola (avevo mal di gola) e una granita alla mandorla davanti, e mia zia che mi fissava. Mi guardava come a dirmi: “Ma levati sa cosa” (riferendosi al fazzoletto di seta) e io decantavo le cure del mio raffreddore, antibiotici ed aspirine, e mentre tossivo, tossivo così forte che ad ogni colpo di tosse mi sentivo vecchio. Mangiai, rotolai fuori dal bar, un saluto veloce, e poi le cose della vita mi portarono da te, improvvisai la mia parte, tu recitasti la tua, io continuavo ad improvvisare, tu continuavi a recitare, ed io ti mischiai il raffreddore, anche se tu avevi le difese immunitarie forti, i miei batteri sono batteri di un poeta che parla di raffreddore, ricordatelo.
Fu il raffreddore più bello della mia vita, perché lì conobbi una porzione di felicità gigantesca che porto sempre nel cuore. Si, se proprio volete saperlo, il raffreddore vi fa rimorchiare più della discoteca, provate a chiedere un fazzoletto ad una ragazza. O vi manderà via, o cercherà di curarvi con Amore. A me è capita la seconda.
Sarà che il foulard mi rendeva davvero intellettuale, sarà che portavo i capelli lunghi, sarà che esiste un piccolo destino per ognuno di noi.
Ma io amo il raffreddore. Perché mi fa pensare a te.
Boi è bello ebbere rabbreddati berchè buoi barlare così.
E a te faceva tanto ridere quanto parlavo così come quando cantavo Cesare Cremonini in Siciliano suonando la chitarra con un cuore di plastica.

Oddio, farebbe ridere a chiunque, ma volevo dirti che sei speciale ed io sempre raffreddato. Che quel piccolo cortile mi ricorderà sempre un enorme senso di pace, che una cameretta condominiale può essere grande quanto l’universo che ci lasci un pezzo di te e che quell’estate a me è sembrata una vita a parte. L’ultima vera estate che ho avuto.

Etciù. Non sopporto chi starnutisce senza fare rumore.

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